Abitare la complessità è la sfida di un destino comune. Ascolta il podcast con l'intervista a Mauro Ceruti, docente e filosofo tra i pionieri dell'elaborazione del pensiero complesso
Una volta di più, l’emergenza legata alla pandemia, come i cambiamenti climatici, ci stanno dimostrando che “siamo una comunità di destino” globale. E nessuno si salva solo. Come salvarci, allora, “insieme”? Come evitare che una volta di più l’egoismo e gli interessi di una parte trionfino sulla solidarietà e sull’interesse collettivo? Secondo Mauro Ceruti, docente di Filosofia della scienza alla Libera università Iulm di Milano, fra i pionieri dell’elaborazione del pensiero complesso, nel suo ultimo volume Abitare la complessità: la sfida di un destino comune, edito da Mimesis, nel mondo sempre più complesso, nel quale tutto è connesso, si producono tuttavia drammatiche disgregazioni.
Perché? Le disgregazioni avvengono a causa del persistere del paradigma della semplificazione, che ci rinchiude nei confini nazionali, frammenta i saperi, irrigidisce le identità culturali, ci separa illusoriamente dalla natura. L’appeal della semplificazione ha rappresentato il paradigma di pensiero dominante nei secoli della modernità, dal seicento al novecento. Tracciare confini, fissare la propria identità nell’opposizione all’alterità, così come trovare una soluzione univoca, semplice, astratta, quantificabile, rintracciare sempre una causalità lineare nei fenomeni, hanno intessuto un abito mentale talmente radicato da far apparire estraneo e difficoltoso un altro modo di pensare, come quello complesso.
Abitare la complessità richiede invece la capacità di indossare un abito diverso, la capacità di innescare narrazioni alternative e più feconde. Scoprire, comunicare, accompagnare alla conoscenza che tutto è connesso, tutto è in relazione, richiede un linguaggio nuovo, l’uso di registri diversi e lo sforzo congiunto di più attori. È quello che ha realizzato, ad esempio, Papa Francesco con l’enciclica Laudato si’, affrontando la questione ecologica e rivolgendosi a credenti e non credenti evocando esplicitamente la necessità di abbandonare il paradigma unidimensionale e tecnocratico per abbracciare quello della complessità.
Da questo punto di vista, l’Agenda Onu 2030 si può considerare il primo documento che recepisce e traduce in termini politici il paradigma della complessità, nei contenuti e nei metodi di elaborazione.
Viviamo in uno spazio nuovo, in cui si moltiplicano i rischi ma anche le possibilità di riprendere e ricostruire il nostro destino, per la prima volta, su scala planetaria. Occorre quindi cambiare paradigma per apprendere ad abitare la complessità che il nuovo tempo esige. Questa è la sfida del XXI secolo.
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15 novembre 2021
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