Uno speciale mercatino di abiti usati per affrontare il tema del fast fashion. L'esperienza di Geovest nelle scuole
Educazione alla sostenibilità... con stile. Si chiama Swap Party ed è una festa dello scambio e del baratto organizzata come attività educativa nelle scuola secondaria di secondo grado Archimede di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna. Il progetto rientra nel catalogo di attività educative che ogni anno Geovest, gestore dei servizi di igiene urbana in 11 Comuni tra le province di Modena e Bologna, offre alle scuole. La proposta educativa Swap Party, realizzata da La Lumaca, è una delle novità dell'anno. Vediamo come è andata.
Swap Party è un laboratorio di educazione alla sostenibilità originale e divertente pensato per promuovere il consumo consapevole tra ragazze e ragazzi. L’idea è semplice: portare abiti e accessori che non si usano più e scambiarli con quelli degli altri partecipanti, dando così nuova vita agli oggetti e riducendo gli sprechi. La proposta ha trasformato l'attività a scuola in un'occasione speciale: i partecipanti si sono messi in gioco con entusiasmo partecipando attivamente alla raccolta e allo scambio di capi d’abbigliamento e allestendo un vero e proprio mercatino a scuola. Ragazze e ragazzi hanno, inoltre, dimostrato un forte spirito di solidarietà; al termine dell’iniziativa, infatti, i capi non scambiati sono stati donati in beneficenza a realtà territoriali locali su decisione dei giovani partecipanti.
Lo Swap Party si è rivelato un modo leggero ma efficace per sensibilizzare su pratiche più etiche legate al comportamento d'acquisto di vestiti e accessori. Secondo Greepeace, ogni anno soltanto nell’Unione Europea vengono gettate via 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature (circa 12 chili per persona) e l’80% di questi finisce in inceneritori, discariche o nel sud del mondo. Per rendere l’idea, ogni secondo nel mondo un camion di indumenti viene bruciato o mandato in discarica. Il 25% dei capi di abbigliamento prodotti in tutto il mondo rimane invenduto e meno dell’1% dei vecchi abiti viene usato per produrre nuovi vestiti. Inoltre, secondo i dati della Ellen MacArthur Foundation, l’industria della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di CO₂, più di tutti i voli internazionali e il trasporto marittimo messi insieme. La fast fashion, con i suoi ritmi accelerati e l’usa-e-getta, contribuisce in modo massiccio all’inquinamento ambientale e allo sfruttamento delle risorse e alimenta anche gravi ingiustizie sociali, specialmente nelle economie in via di sviluppo. Secondo l’organizzazione Remake, l’80% dei vestiti è prodotto da giovani donne tra i 18 e i 24 anni, a fronte di bassi salari e condizioni e tempi di lavoro spesso fuori dai confini della legalità. Secondo Banca Etica, numerosi studi, tra cui uno del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, hanno documentato l’uso di lavoro forzato e minorile nell’industria tessile in Paesi come Bangladesh, India, Cina e Vietnam. Inoltre, va sottolineato come donne, uomini e minori, che vivono in territori che basano l’economia locale sul riciclo e la produzione di capi d’abbigliamento, siano costretti a convivere con gli effetti collaterali di questa filiera, in un ambiente altamente compromesso dalla produzione industriale intensiva e dalle discariche di vestiti, intrappolate in un circolo vizioso che unisce povertà e degrado ambientale.
Iniziative come lo Swap Party offrono un’alternativa concreta, educativa e accessibile per ripensare il nostro rapporto con i vestiti e promuovere un futuro più responsabile dal punto di vista ambientale e sociale.
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Marcella Benassi
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21 maggio 2025
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