Tutti hanno diritto a un'alimentazione sana, sicura e adeguata. Intervista a Stefano Rodotà, giurista, politico e docente di Diritto Civile presso l'Università La Sapienza di Roma
Stefano Rodotà, autore del volume “Il diritto al cibo”, tesse una trama precisa tra la fame, oggi estesa a tre miliardi di persone, la dignità e i diritti dell’uomo.
Il diritto al cibo è un’invenzione piuttosto recente, riconosce Rodotà, ricordando che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 non ne faceva menzione. Solo di recente il diritto al cibo è chiaramente esplicitato, presente oggi in una ventina di carte costituzionali, prevalentemente di paesi latinoamericani e asiatici, dove il problema è più sentito. Parole che, purtroppo, in molti casi rimangono solo sulla carta.
Un tema cruciale che riguarda anche l’ambiente, pensando ad esempio agli impatti delle colture intensive ma anche ai brevetti sulle sementi, rese sterili dalle multinazionali che negano, così, l’eredità del ciclo naturale e piegano la nutrizione alla potenza del mercato.
Richiamando la dignità di chi il cibo lo produce, scorre sotto gli occhi il fenomeno del caporalato: non dovremmo mai accettare che sulle nostre tavole arrivino alimenti prodotti dallo sfruttamento e la schiavitù di altre persone.
Ma se ci sono ostacoli che si frappongono ad una piena attuazione di questo diritto, vi sono al contempo altri esempi che potrebbero andare controcorrente, dalla “via campesina” di Slow Food, che si pone obiettivi di qualità, costo e di produzione, ai piani adottati da alcune nazioni per evitare che si possa ancora oggi soffrire la fame, come il progetto “Fame zero” in Brasile, che coinvolge l’intera filiera alimentare, compresi i produttori.
Rimane il fatto che solo un paese che riconosce il diritto ad un cibo sano, adeguato e corrispondente anche alle sue tradizioni culturali in cui identificarsi, può dirsi realmente civile e democratico.
- Ascolta l’intervista al giurista Stefano Rodotà sul diritto al cibo
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10 novembre 2015
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